….I
GATTI PRIMA LA FANNO, POI LA COPRONO…
Una
nuova inaugurazione, il “Palazzo del Genio”,
una nuova dimenticanza, come per Piazza
S.Martino, anche da parte di chi il mio numero
lo conosce a memoria. Ciò ha impedito a chi ha
dedicato tanto tempo per realizzare e a volte
firmare dei progetti voluti dall’amministrazione
Gagliardi e realizzati dall’amministrazione
Barbieri, di partecipare e spiegare le ragioni
di alcune scelte. Lo hanno fatto altri.
Chiaramente secondo il loro modo di vedere. Che
non necessariamente coincide con il mio. Che
invece sono il progettista. Volenti o nolenti.
Anche se la tattica del nascondere sempre, fino
all’ultimo, come il marito che ha tradito la
moglie, funziona. Quando, infatti, una signora,
incontrandomi per strada, mi ha abbracciato e
baciato “per l’emozione provata nel vedere
quel sogno di salone”, anche l’amico, che
pur sapeva, ha chiesto meravigliato: ma
perché, pure quello lo hai fatto tu?!?
Già, pure quello l’ho fatto io. E non di
nascosto. Lo sapevano tutti…anche se per leggere
il mio nome sul cartello di cantiere ci
voleva…la lente di ingrandimento. Poi, il vuoto
di memoria e, confondendo il professionista con
il politico, alla fine lo si è escluso da un
invito “ad personam”, come persona indesiderata
“colpevole” di aver fatto qualcosa che,
nonostante tutto, piace. Non un cenno, non una
telefonata, nemmeno da parte di chi, dal mio
telefono, ha sempre avuto risposte positive.
Questa non è politica! Il pavone si fa bello
facendo la ruota con le sue penne, NO spennando
i suoi rivali! Ma la cosa più scorretta è
stata mettere mani su quanto fatto senza
nemmeno chiederne il parere, come per la piazza,
(scala di accesso, mobili, tende, fascia di
intonaco sulle carceri…). Peggio ancora si è
nascosto, con pedana e mobili in compensato e
moquette, un pezzo della storia narrata dal
disegno del pavimento, merito dell’impresa
Maturo che lo ha posato e della ditta Bizzarro
che lo ha realizzato. Un architetto “sa” che non
si nasconde ciò che si fa, nemmeno con una
pedana. Chi è grande non ha bisogno del podio
per innalzare la sua persona. Così facendo non
si è mortificato il sottoscritto, si è
mortificata la bravura dei posatori e l’arte
della ditta cerretese che con pazienza e
perizia, sopportandomi con pazienza, ha
realizzato il pavimento.
Dopo il legittimo sfogo che, chi mi conosce,
perdonerà, dedico ora alcune considerazione solo
al neobattezzato “Palazzo del genio”. Per la
piazza…ci vuole pazienza.
Un vero restauro, secondo quando oggi accettato
dalle due correnti di pensiero che in Italia
fanno scuola, avrebbe dovuto conservare anche
l’immagine dei grossi finestroni degli anni 30.
Ma, in accordo con la Sovrintendenza, si è
pensato ad un recupero che valorizzasse il lato
sud della Piazza, stranamente asimmetrico per i
canoni estetici dell’epoca, ridando l’immagine
ottocentesca del fabbricato come visibile da
alcune foto. La facciata è stata ripresa
trattando le pietre in modo tale che non ci
fosse possibilità di equivoci sul periodo
dell’intervento, (niente bocciardatura, i falsi
in architettura si facevano duecento anni fa!).
Ora, quelle stesse persone che, nel piano di
recupero approvato nel 1988 avevano tenuto in
così scarsa considerazione il palazzo da
considerarlo “edificio di scarso o nessun
interesse architettonico e/o ambientali”,
l’hanno riscoperto “ricoprendolo”, secondo una
moda dilagante ma assolutamente da me non
condivisa, con effetti di luce colorata. Ma non
è un grave problema. Il giorno in cui ci si
convincerà che un’opera architettonica è più
bella con le luci “non colorate”, sarà semplice
escluderle.
Si è quindi cercato di salvare il salvabile, sia
nel palazzo, recuperato, che nella carceri,
restaurate.
Nel palazzo si sono conservate le
stratificazioni storiche venute alla luce,
conservando ed evidenziando gli elementi
originali: quelli del 700: le basi in pietra
dell’accesso alla tipografia e la finestra a
spigolo verso il corso. La finestra ovviamente è
rimasta cieca in quanto non ha alcun riferimento
interno, ma è solo la testimonianza di una
vecchia, diversa funzione del palazzo nel 700.
E’ stato ripreso secondo l’antica forma pure
l’ottocentesco avancorpo in pietra, in parte
demolito negli anni 30. Le pietre sono state
lasciate a vista sia perché così ci sono
arrivate, sia perché l’avancorpo è una
testimonianza postuma, ottocentesca, da non
confondere con l’originale palazzo del 700. La
teoria del restauro stilistico che ha portato a
tanti falsi storici è superata da due secoli.
Oggi, quelli che per professione e competenze
parlano o progettano restauri, seguono scuole di
pensiero che non prevedono la riapertura
indiscriminata di finestre chiuse o l’intonaco
generalizzato perché nel 700 così si faceva.
Basta girare l’Italia per vedere che le teorie
che serpeggiano a Cerreto sono proprio “locali”,
e non è facendo qualunquismo culturale in un
campo minato come il restauro che si aiuta il
paese a crescere. Quasi tutte le chiese
Romaniche e Gotiche che ci arricchiscono una
volta erano intonacate ed affrescate, come
S.Francesco in Assisi o il Duomo di Monreale o
S.Angelo in Formis. Ora tante sono in pietra a
faccia vista con le tracce degli intonachi e
degli affreschi sopravvissuti. Delitto sarebbe
spicconare l’intonaco originario, delitto
sarebbe riproporre intonachi e finiture “…come
dovevano essere…” . Ma a Cerreto si predica,
per politica, in un modo (…sono per le pareti
intonacate!…) e si agisce in un altro (vedi
altre facciate spicconate, oggi, e lasciate a
faccia vista, senza motivazione). Il palazzo
recuperato non è più il monumento originario (
ma chi veramente sa come era nel 700?), ma ne ha
rispettato in modo assoluto le caratteristiche
scientificamente provate e documentate ed è
ritornato a nuova vita con integrazioni che
parlano, ovviamente, un linguaggio moderno
(pavimento-capriate-bagni). Soprattutto si sono
evitate integrazioni o trasformazioni “in
stile”, assurdi falsi d’epoca, e tutti gli
interventi realizzati oggi denunciano, senza
possibilità di errore, la loro contemporaneità.
Almeno nelle opere murarie. Per l’arredo sono
altri che devono rispondere delle loro scelte.
Diverso è il discorso per le carceri, sottoposte
ad un vero restauro: è stata finalmente demolita
la sopraelevazione abusiva, come richiesto da
anni da una ordinanza della Sovrintendenza e
sono stati eliminati all’interno gli intonachi e
le tramezzature (c’era addirittura stucco
veneziano sulle pietre!) per lavori eseguiti
negli anni 80. Le pareti hanno riacquistato la
forte bellezza di un tempo e costituiscono
documento storico assai importante per la vita
di Cerreto sotto il dominio dei Carafa. Basti
pensare ai blocchi squadrati in pietra, al
centro dei quali sono stati ripiombati gli
anelli ai quali erano incatenati i delinquenti.
E’ stata pure ritrovata la cella di rigore,
sotto la scala, con alcune scritte fatte dai
carcerati. La cella era pur essa stata murata e
cancellata dalla memoria. Come il cantinone dove
fu poi realizzato il museo: era una discarica
nella quale si versavano i rifiuti dall’alto.
Quanta cultura, quanta economia ad essa legata
si è distrutta per superficialità, quanti
portali e finestre vecchie sono state
assurdamente sostituite da copie moderne (sic!).
Magari in perlato di Cassino!
Il ricordo dell’acciottolato che pavimentava le
celle del primo piano (caso unico per quello
che so io) è stato mantenuto riproponendo,
grazie alla dott.ssa Belardelli, una
pavimentazione forse scomoda, ma sicuramente
originale. Così come è stato riproposta le
memoria delle volti a botte del primo piano,
rifatte in cartongesso. Nessuno potrà così
confondere l’integrazione con l’originale. Ed il
tutto è stato reso accessibile ai disabili.
Qualcuno l’ha notato? Anche questa è cultura.
A conclusione, rispondendo alla logica domanda
di chi potrebbe dire…ma tu stai parlando da
progettista…dico:
così è se vi pare!
Come pure mio è il progetto della Madonna della
Libera, da me regalato all’Amministrazione
Gagliardi, anzi, per essere corretti, a
Cerreto!, indipendentemente dall’Amministrazione
al potere. Dopo lo scempio del 1997, quando con
fondi privati (iniziativa lodevole, risultati
disastrosi) furono eseguiti, senza controllo,
scavi che portarono alla distruzione di gran
parte del tempio sannitico interrato,
distruzione di cui sono muti testimoni i massi
ora disposti sul prato della Chiesa, non mi
pareva vero poter contribuire a salvare il
salvabile del Tempio di Flora.
Se poi anche la verità, come la cultura, come la
morale, deve venire dopo la politica…allora è
giusto che anche una persona colta, a chi gli
faceva notare che si stava interrompendo il
disegno di uno splendido pavimento ad intarsio,
orgoglio di chi lo ha montato e dell’impresa che
lo ha realizzato, coprendolo con una pedana e
dei mobili in compensato, risponda….mo ci
mettiamo a badare anche a questo! E già!
Le cose belle, prima si fanno e poi si
nascondono.
Proprio come fanno i gatti.
Arch. Lorenzo Morone
L’aspetto del
palazzo come arrivato fino agli anni 30: da
notare le finestre del palazzo originale già
chiuse. Il recupero odierno, soprattutto per
dare prevalenza alla piazza, ha tenuto conto di
questo aspetto, ancora vivo nella memoria di
qualche anziano.
Il palazzo con le
modifiche del periodo fascista: l’idea era di
occupare l’intero lato sud della piazza
Il palazzo
dopo un primo recupero realizzato nel 1977
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