14 maggio 2007
Cerreto, i gatti prima la fanno poi la coprono
Lorenzo Morone

 

 

….I GATTI PRIMA LA FANNO, POI LA COPRONO…

Una nuova inaugurazione, il “Palazzo del Genio”, una nuova dimenticanza, come per Piazza S.Martino, anche da parte di chi il mio numero lo conosce a memoria. Ciò ha impedito a chi ha dedicato tanto tempo per realizzare e a volte firmare dei progetti voluti dall’amministrazione Gagliardi e realizzati dall’amministrazione Barbieri, di partecipare e spiegare le ragioni di alcune scelte. Lo hanno fatto altri. Chiaramente secondo il loro modo di vedere. Che non necessariamente coincide con il mio. Che invece sono il progettista. Volenti o nolenti. Anche se la tattica del nascondere sempre, fino all’ultimo, come il marito che ha tradito la moglie, funziona. Quando, infatti, una signora, incontrandomi per strada, mi ha abbracciato e baciato “per l’emozione provata nel vedere quel sogno di salone”, anche l’amico, che pur sapeva, ha chiesto meravigliato: ma perché, pure quello lo hai fatto tu?!?

Già, pure quello l’ho fatto io. E non di nascosto. Lo sapevano tutti…anche se per leggere il mio nome sul cartello di cantiere ci voleva…la lente di ingrandimento. Poi, il vuoto di memoria e, confondendo il professionista con il politico, alla fine lo si è escluso da un invito “ad personam”, come persona indesiderata “colpevole” di aver fatto qualcosa che, nonostante tutto, piace. Non un cenno, non una telefonata, nemmeno da parte di chi, dal mio telefono, ha sempre avuto risposte positive. Questa non è politica! Il pavone si fa bello facendo la ruota con le sue penne, NO spennando i suoi rivali!  Ma la cosa più scorretta è stata  mettere mani su quanto fatto senza nemmeno chiederne il parere, come per la piazza, (scala di accesso, mobili, tende, fascia di intonaco sulle carceri…). Peggio ancora si è nascosto, con pedana e mobili in compensato e moquette, un pezzo della storia narrata dal disegno del pavimento, merito dell’impresa Maturo che lo ha posato e della ditta Bizzarro che lo ha realizzato. Un architetto “sa” che non si nasconde ciò che si fa, nemmeno con una pedana. Chi è grande non ha bisogno del podio per innalzare la sua persona. Così facendo non si è mortificato il sottoscritto, si è mortificata la bravura dei posatori e l’arte della ditta cerretese che con pazienza e perizia, sopportandomi con pazienza, ha realizzato il pavimento.

Dopo il legittimo sfogo che, chi mi conosce, perdonerà, dedico ora alcune considerazione solo al neobattezzato “Palazzo del genio”. Per la piazza…ci vuole pazienza.

 Un vero restauro, secondo quando oggi accettato dalle due correnti di pensiero che in Italia fanno scuola, avrebbe dovuto conservare anche l’immagine dei grossi finestroni degli anni 30. Ma, in accordo con la Sovrintendenza, si è pensato ad un recupero che valorizzasse il lato sud della Piazza, stranamente asimmetrico per i canoni estetici dell’epoca, ridando l’immagine ottocentesca del fabbricato come visibile da alcune foto. La facciata è stata ripresa trattando le pietre in modo tale che non ci fosse possibilità di equivoci sul periodo dell’intervento, (niente bocciardatura, i falsi in architettura si facevano duecento anni fa!). Ora, quelle stesse persone che, nel piano di recupero approvato nel 1988 avevano tenuto in così scarsa considerazione il palazzo da considerarlo “edificio di scarso o nessun interesse architettonico e/o ambientali”, l’hanno riscoperto “ricoprendolo”, secondo una moda dilagante ma assolutamente da me non condivisa, con effetti di luce colorata. Ma non è un grave problema. Il giorno in cui ci si convincerà che un’opera architettonica è più bella con le luci “non colorate”, sarà semplice escluderle.

Si è quindi cercato di salvare il salvabile, sia nel palazzo, recuperato, che nella carceri, restaurate.

Nel palazzo si sono conservate le stratificazioni storiche venute alla luce, conservando ed evidenziando gli elementi originali: quelli del 700: le basi in pietra dell’accesso alla tipografia e la finestra a spigolo verso il corso. La finestra ovviamente è rimasta cieca in quanto non ha alcun riferimento interno, ma è solo la testimonianza di una vecchia, diversa funzione del palazzo nel 700. E’ stato ripreso secondo l’antica forma pure l’ottocentesco avancorpo in pietra, in parte demolito negli anni 30.  Le pietre sono state lasciate a vista sia perché così ci sono arrivate, sia perché l’avancorpo è una testimonianza postuma, ottocentesca, da non confondere con l’originale palazzo del 700. La teoria del restauro stilistico che ha portato a tanti falsi storici è superata da due secoli. Oggi, quelli che per professione e competenze parlano o progettano restauri, seguono scuole di pensiero che non prevedono la riapertura indiscriminata di finestre chiuse o l’intonaco generalizzato perché nel 700 così si faceva. Basta girare l’Italia per vedere che le teorie che serpeggiano a Cerreto sono proprio “locali”, e non è facendo qualunquismo culturale in un campo minato come il restauro che si aiuta il paese a crescere. Quasi tutte le chiese Romaniche e Gotiche che ci arricchiscono una volta erano intonacate ed affrescate, come S.Francesco in Assisi o il Duomo di Monreale o S.Angelo in Formis. Ora tante sono in pietra a faccia vista con le tracce degli intonachi e degli affreschi sopravvissuti. Delitto sarebbe spicconare l’intonaco originario, delitto sarebbe riproporre intonachi e finiture “…come dovevano essere…” . Ma a Cerreto si predica, per politica, in un modo (…sono per le pareti intonacate!…) e si agisce in un altro (vedi altre facciate  spicconate, oggi, e lasciate a faccia vista, senza motivazione). Il palazzo recuperato non è più il monumento originario ( ma chi veramente sa come era nel 700?), ma ne ha rispettato in modo assoluto le caratteristiche scientificamente provate e documentate ed è ritornato a nuova vita con integrazioni che parlano, ovviamente, un linguaggio moderno (pavimento-capriate-bagni). Soprattutto si sono evitate integrazioni o trasformazioni “in stile”, assurdi falsi d’epoca, e tutti gli interventi realizzati oggi denunciano, senza possibilità di errore, la loro contemporaneità. Almeno nelle opere murarie. Per l’arredo sono altri che devono rispondere delle loro scelte.

Diverso è il discorso per le carceri, sottoposte ad un vero restauro: è stata finalmente demolita la sopraelevazione abusiva, come richiesto da anni da una ordinanza della Sovrintendenza e sono stati eliminati all’interno gli intonachi e le tramezzature (c’era addirittura stucco veneziano sulle pietre!) per  lavori eseguiti negli anni 80. Le pareti hanno riacquistato la forte bellezza di un tempo e costituiscono documento storico assai importante per la vita di Cerreto sotto il dominio dei Carafa. Basti pensare ai blocchi squadrati in pietra, al centro dei quali sono stati ripiombati gli anelli ai quali erano incatenati i delinquenti. E’ stata pure ritrovata la cella di rigore, sotto  la scala, con alcune scritte fatte dai carcerati. La cella era pur essa stata murata e cancellata dalla memoria. Come il cantinone dove fu poi realizzato il museo: era una discarica nella quale si versavano i rifiuti dall’alto. Quanta cultura, quanta economia ad essa legata si è distrutta per superficialità, quanti portali e finestre vecchie sono state assurdamente sostituite da copie moderne (sic!). Magari in perlato di Cassino!

Il ricordo dell’acciottolato che pavimentava le celle del  primo piano (caso unico per quello che so io) è stato mantenuto riproponendo, grazie alla dott.ssa Belardelli, una pavimentazione forse scomoda, ma sicuramente originale. Così come è stato riproposta le memoria delle volti a botte del primo piano, rifatte in cartongesso. Nessuno potrà così confondere l’integrazione con l’originale. Ed il tutto è stato reso accessibile ai disabili. Qualcuno l’ha notato? Anche questa è cultura.

A conclusione, rispondendo alla logica domanda di chi potrebbe dire…ma tu stai parlando da progettista…dico: così è se vi pare! Come pure mio è il progetto della Madonna della Libera, da me regalato all’Amministrazione Gagliardi, anzi, per essere corretti, a Cerreto!, indipendentemente dall’Amministrazione al potere. Dopo lo scempio del 1997, quando con fondi privati (iniziativa lodevole, risultati disastrosi) furono eseguiti, senza controllo, scavi che portarono alla distruzione di gran parte del tempio sannitico interrato, distruzione di cui sono muti testimoni i massi ora disposti sul prato della Chiesa, non mi pareva vero poter contribuire a salvare il salvabile del Tempio di Flora.

Se poi anche la verità, come la cultura, come la morale, deve venire dopo la politica…allora è giusto che anche una persona colta, a chi gli faceva notare che si stava interrompendo il disegno di uno splendido pavimento ad intarsio, orgoglio di chi lo ha montato e dell’impresa che lo ha realizzato, coprendolo con una pedana e dei mobili in compensato, risponda….mo ci mettiamo a badare anche a questo! E già! Le cose belle, prima si fanno e poi si nascondono.

 Proprio come fanno i gatti.

Arch. Lorenzo Morone


 

L’aspetto del palazzo come arrivato fino agli anni 30: da notare le finestre del palazzo originale già chiuse. Il recupero odierno, soprattutto per dare prevalenza alla piazza, ha tenuto conto di questo aspetto, ancora vivo nella memoria di qualche anziano.

 

 

Il palazzo con le modifiche del periodo fascista: l’idea era di occupare l’intero lato sud della piazza

 

Il palazzo dopo un primo recupero realizzato nel 1977

 

 

     

 Valle Telesina


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