Web, distinguere siti personali da quelli con
scopo di lucro
Speciale: Blog e siti web: nonostante il comma
aggiuntivo all'articolo 7 del DDL Levi-Prodi
sull'editoria permangono gravi problemi per
distinguere siti personali da quelli con scopo
di lucro e le responsabilità penali e civili per
chi scrive.
Lo scorso week-end i vari
ministri da Gentiloni e Di Pietro, fino ad
arrivare allo stesso promotore del nuovo disegno
di legge sull'editoria avevano tranquillizzato i
blogger e i responsabili di siti web italiani
spiegando che il bollo da pagare, l'iscrizione
ad un album come il ROC e la necessità di avere
un giornalista come responsabile editoriale
sarebbero stati eliminati dal testo definitivo,
ovvero che non si voleva assolutamente
imbavagliare l'Internet Italiana.
E subito, ad inizio settimana scorsa, alle
parole sono seguite i fatti con il
sottosegretario Levi che ha introdotto uno
specifico comma alla legge 7 per eliminare i
blog e i siti web dagli obblighi sopradescritti.
Nello specifico nel comma introdotto si legge: "
Sono esclusi dall'obbligo di iscrizione al Roc i
soggetti che accedono ad internet o operano su
internet in forme o con prodotti, come i siti
personali o ad uso collettivo che non
costituiscono un'organizzazione imprenditoriale
del lavoro".
Tutto bene, dunque? Niente affatto, in quanto
cosa significa esattamente e soprattutto come
fare a distinguere un sito personale, uno ad uso
collettivo e che non abbiano nessuna forma di
entrata economica? Se un sito è scritto da due
amici è un sito collettivo? Ma se su questo sito
inseriamo dei semplici banner in pay per action
o per click o gli annunci di google e
guadagniamo 100 dollari ogni mese, allora
rientriamo nei siti a fine di lucro?
Come avevo già scritto era meglio specificare
tutto nei minimi dettagli, non lasciare, niente
al caso, soprattutto quando si legifera su
argomenti delicati come Internet poco conosciuti
dai non esperti e sempre in continua evoluzione.
Senza dimenticare l'altra importantissima
questione che non è stata nemmeno presa in
considerazione, lasciandola nel vago: il rischio
di reato penale e civile per diffamazione a
mezzo Internet equiparando qualsiasi sito o blog
ad un giornale.
Vi lascio ad un interessante articolo pubblicato
su Apogeonline.it scritto dalla Dr.ssa Elvira
Berlingieri consulente legale presso privati e
pubbliche amministrazioni e insegnante "Diritto
d'autore e copyright" al master in e-Medicine
dell'Università di Firenze. L'autrice spiega
nell'articolo in modo completo e di facile
lettura, con una chiarezza estrema, senza
ricorrere a termini "avvocatesi" la situazione
del disegno di legge Levi-Prodi sull'Editoria
facendo anche chiarezza sui due punti da me
citati in questa introduzione spiegandone le
possibili reali conseguenza.
Buona Lettura
Marcello Tansini
Un controverso disegno legislativo quello
proposto da Ricardo Franco Levi, sottosegretario
alla Presidenza del Consiglio con delega per
l’editoria che ha suscitato polemiche e critiche
rimbalzate dalla blogosfera fino alle
istituzioni per arrivare, infine, oltre i
confini nazionali. Parliamo del disegno di legge
sulla riforma dell'editoria che delega al
Governo il riassetto di tutto il settore
approvato lo scorso 12 ottobre dal Consiglio dei
Ministri e già dal 24 ottobre in via di riforma
per escludere dalla sfera di applicazione i blog
e i siti amatoriali.
La polemica sul disegno di legge è, allo stato,
così diffusa in Rete che è impossibile citare
tutte le fonti che ne parlano ed è difficile
perfino ricostruirne l'origine: il primo a
parlarne è stato probabilmente Manlio Cammarata,
seguito da Valentino Spataro, poi ancora da
Punto Informatico, Daniele Minotti, fino ad
arrivare, con vigore, sul blog di Beppe Grillo.
È certamente a causa della popolarità di
quest'ultimo che la denuncia della blogosfera ha
raggiunto dimensioni ragguardevoli e si è
generata una mobilitazione a tappeto sfociata in
una lettera aperta a Grillo stesso da parte del
sottosegretario Levi e a cui hanno fatto da
contraltare le dichiarazioni del ministro Di
Pietro e del ministro Gentiloni (tra gli altri),
i quali hanno entrambi dichiarato di non avere
letto il ddl e si sono impegnati a favore di una
immediata riforma.
Il pomo della discordia che ha, infatti,
generato l'insurrezione della blogosfera e
inediti “ripensamenti” istituzionali avvenuti
attraverso i blog dei politici interessati e,
addirittura il portale del Governo riguarda la
nuova definizione del concetto di prodotto
editoriale, di attività editoriale e i relativi
obblighi che ricadono sui soggetti coinvolti.
Le definizioni
Ai sensi dell'
articolo 2
del ddl un prodotto
editoriale è, infatti: «prodotto contraddistinto
da finalità di informazione, di formazione, di
divulgazione, di intrattenimento, che sia
destinato alla pubblicazione, quali che siano la
forma nella quale esso è realizzato e il mezzo
con il quale esso viene diffuso». Dalla
definizione vengono esclusi espressamente
solamente i prodotti editoriali destinati alla
sola informazione aziendale, anche se destinati
ad uso pubblico, e prodotti discografici od
audiovisivi. Il requisito della finalità è di
per sé vago e dovrà essere esplicitato in chiave
interpretativa dal regolamento di attuazione
dell'Autorità Garante per le Comunicazioni così
come previsto dall'
articolo 6 comma 4
del ddl, posto che
esistono siti dotati di progettualità e quindi
dediti prevalentemente a finalità di
informazione, intrattenimento eccetera, e siti
che invece lo sono solo in sporadici episodi,
come ad esempio i blog diaristici o in genere
blog che esprimono semplicemente la visione
dell'autore senza avere una e/o più di una delle
finalità esplicitate dal ddl come attività
prevalenti.
L'
articolo 5
che definisce, invece, l'attività editoriale
rilevante ai fini dell'applicazione del disegno
di legge include, senza alcun precedente, anche
quella esercitata senza scopo di lucro e in
forma non imprenditoriale. Sarebbe a dire che
anche le forme di pubblicazione che avvengono
attraverso un sito qualunque, anche un blog,
aventi finalità esplicitamente educativa o
intrattenimento o di informazione eccetera in
modo gratuito e senza un'attività di impresa
alle spalle ricadono nella nuova definizione di
attività editoriale e sono quindi soggette
all'applicazione delle disposizioni del disegno
di legge e, pertanto, dell'emanando testo unico
in materia di editoria.
Ma non è tanto – o non solo – un problema di
classificazione a preoccupare, quanto le
possibili conseguenze di ritrovarsi inclusi
nelle predette categorie. Tra i punti
controversi, infatti, si teme un aggravio
burocratico per i gestori dei siti che
rientreranno nella definizione di “prodotto
editoriale” se consideriamo che il disegno di
legge prevede l'obbligo per tutti i soggetti che
esercitano attività editoriale di iscriversi al
Roc, il registro degli operatori di
comunicazione.
Ricordiamo che tale registro, istituito presso
l'Autorità garante per le Comunicazioni, ha la
finalità di garantire la trasparenza e la
pubblicità degli assetti proprietari al fine di
rendere applicabili al settore le norme
anti-trust nonché il rispetto del pluralismo
informativo. Questa funzione del Roc non sembra
essere intaccata dal ddl, e la visione del
legislatore potrebbe sembrare quindi quella di
voler includere tra le fonti di informazione
anche quelle presenti in Rete e non organizzate
in modo imprenditoriale: si tratta forse di una
forma di lungimiranza intenzionale, che
recepisce che il circuito informativo mediatico
non è più formato solamente dalle fonti
istituzionali? Se lo fosse potrebbe essere anche
una buona notizia, ma dal testo non è dato
desumere che le stesse garanzie di cui godono i
mass media tradizionali, quelli che hanno una
organizzazione imprenditoriale alle spalle e un
solido corpus legislativo ed organizzativo
(pensiamo all'Ordine dei Giornalisti e alle
numerose disposizioni di legge che regolamentano
e garantiscono la libertà di informazione di
radio, televisione e stampa) verranno estese
anche ai semplici siti personali (e relativi
gestori).
I blog e i reati commessi a mezzo stampa
Al contrario, la questione appare molto
problematica dal momento in cui anche l'attività
editoriale svolta in assenza di
imprenditorialità e senza finalità lucrative,
sempre secondo l'articolo 7 del ddl, «rileva
anche ai fini dell'applicazione delle norme
sulla responsabilità dei reati commessi a mezzo
stampa». Attualmente i blog non sono ritenuti
prodotti editoriali quindi non ricadono, di
regola, nell'applicazione dei reati commessi a
mezzo stampa.
Analizziamo, invece, cosa prevede il disegno di
legge. L'estensione dell'articolo 7 risulta
assai problematica poiché i reati commessi a
mezzo stampa prevedono attualmente ipotesi di
responsabilità rispetto alla responsabilità
dell'autore dei contenuti e cioè, per l'articolo
57 del codice penale e per il caso di
pubblicazioni periodiche viene sancita, per il
direttore e il vice direttore responsabile, una
forma di responsabilità colposa derivante dal
mancato controllo sui contenuti. Per le
pubblicazioni non periodiche (articolo 57-bis) o
clandestine (articolo 58) l'editore o lo
stampatore sono responsabili, invece, solo
qualora l'autore della pubblicazione sia ignoto
o non imputabile.
Se proviamo a trarre qualche conclusione
possiamo quindi dire che allo stato dei fatti il
blogger può essere sempre e comunque ritenuto
responsabile di quanto scrive, ma senza
l'aggravante di avere utilizzato il mezzo della
stampa. Ove invece il ddl passasse così come è
stato reso pubblico, e il blogger dovesse
ricadere nell'obbligo di iscrizione al Roc,
avrebbe l'aggravante dell'utilizzazione del
mezzo della stampa per i propri contenuti. Che
cosa accadrebbe per i commenti? Si applicherebbe
la responsabilità per omissione di controllo?
Come è noto, in Italia abbiamo avuto un solo,
criticato, precedente in cui la disciplina dei
reati a mezzo stampa, compresa la responsabilità
colposa per omissione di controllo sui contenuti
pubblicati, è stata applicata nei confronti di
un blogger. Si tratta della sentenza del
Tribunale di Aosta che ha ritenuto un blogger
colpevole, tra le altre cose, di non avere
cancellato commenti a contenuto diffamatorio. La
responsabilità penale è stata affermata, in quel
caso, attraverso una analogia in malam partem
(letteralmente una analogia sfavorevole al reo,
vietata dal codice penale) e cioè ritenendo
forzatamente equiparabile la figura del
direttore responsabile blogger in quanto, al
pari del direttore che può decidere cosa
pubblicare e cosa no, il blogger ha la
possibilità di cancellare i commenti.
Come abbiamo detto, però, la disciplina attuale
non avalla la decisione del tribunale di Aosta,
e nemmeno il ddl così come è adesso può portare
a tale conseguenza. La mera iscrizione al Roc,
infatti, non basta da sola a fare ottenere al
blogger la qualifica di direttore responsabile o
tanto meno di vice, figure che hanno,
istituzionalmente, obblighi di garanzia e di
controllo sui contenuti delle pubblicazioni di
cui si occupano. E in effetti la controversa
sentenza del tribunale di Aosta è stata oggetto
di una interrogazione parlamentare al Ministro
Gentiloni promossa lo scorso 19 settembredall'on.
Crapoliccchio proprio in merito
all'illegittimità giuridica dell'estensione dei
reati a mezzo stampa al titolare di un blog.
Gentiloni stesso, in merito alla questione della
responsabilità per i reati a mezzo stampa per i
blogger, ha risposto: «Va precisato che i
responsabili dei siti devono comunque
collaborare con le autorità di polizia e con gli
inquirenti per colpire i reati più gravi (penso,
ad esempio, ai reati di pedofilia), come
previsto dal decreto approvato dal Governo
all'inizio di gennaio. Tuttavia, la possibilità
di assoggettarli alle stesse regole tipiche
della legge sulla stampa, per omesso controllo,
non ci sembra appropriata».
È lecito chiedersi se l'articolo 7 del ddl
preluda in qualche modo a una riforma dei reati
a mezzo stampa e se si andrà verso l'istituzione
di un obbligo di controllo preventivo e di
moderazione sui contenuti immessi da
commentatori (ma pensiamo anche ad applicazioni
diverse dai blog ad altrettanto diffuse, quali
ad esempio i forum aperti e i wiki, che
potrebbero ricadere nelle definizioni di
prodotto editoriale ed attività editoriale del
ddl). Sino a che tale riforma non verrà attuata,
però, la domanda rimane aperta.
I primi tentativi di riforma
Dovrebbe essere però proprio l'articolo 7 (e non
gli articoli che definiscono il prodotto
editoriale e l'attività editoriale), stando alle
ultime dichiarazioni del sottosegretario Levi,
ad essere modificato dall'unico emendamento al
ddl reso sinora pubblico, attraverso l'aggiunta
di un comma. Secondo quanto ha dichiarato Levi a
Repubblica, sinora negli emendamenti non è stata
espressamente usata la parola blog per
circoscrivere il campo di applicazione del ddl,
ma «Il comma aggiuntivo dice che sono esclusi
dall'obbligo di iscrivere al Roc i soggetti che
accedono o operano su Internet per prodotti o
siti ad uso personale e non ad uso collettivo.
Vuol dire che sono esclusi i blog che non
rientrano in questo comma teso a ridefinire le
responsabilità di chi opera su internet». E
questa sarebbe una bella notizia.
Secondo quanto riporta l'Ansa, il tenore del
comma aggiuntivo dell'articolo 7 sarebbe il
seguente: «Sono esclusi dall'obbligo di
iscrizione al Roc i soggetti che accedono ad
internet o operano su internet in forme o con
prodotti, come i siti personali o ad uso
collettivo che non costituiscono
un'organizzazione imprenditoriale del lavoro».
Non essendo note, attualmente, fonti diverse
dalla dichiarazione del sottosegretario la
cautela è d'obbligo, ma appare chiaro che le
acque tendono a confondersi ulteriormente. Che
cosa sia da intendersi per uso personale e uso
collettivo, infatti, per un sito accessibile
liberamente su Internet, non è dato sapere.
Ma ancora di più ci si chiede se non ci sia
contraddizione di fondo nell'includere nella
definizione di attività editoriale anche quella
non imprenditoriale non a scopo di lucro e
nell'escludere poi dalla sola iscrizione al Roc
i soggetti che non effettuano un'organizzazione
imprenditoriale del lavoro. Come distinguere
nettamente tra le due ipotesi? Tale emendamento
mette a rischio, senza risolvere il problema, i
blog tematici con più autori che si occupano di
determinati argomenti, i wiki dedicati a una o
più discipline (pensiamo a Wikipedia, che ha
perfino un marchio, una filosofia di fondo e
delle policy di redazione e cernita dei
contenuti: è organizzazione imprenditoriale del
lavoro questa?) e i forum settoriali, perlomeno
quelli con moderatori, che una attività di
lavoro organizzato, almeno in senso lato, la
svolgono. Non ci rimane che aspettare che il
testo con gli emendamenti sia reso pubblico.
fonte:
www.webmasterpoint.org
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