intervento riferito a: Telese, scompare un altro pezzo della nostra comunità

 

 

6 marzo 2008
Telese, a proposito di memoria
Gianluca Aceto

 

 

 

 

Caro Michele,

sapere da te che quegli alberi tagliati avevano una certa storia, oltre che una propria vita, mi ha intristito ancora di più. Hai tremendamente ragione: «una comunità senza memoria non ha futuro».

 

Qualche tempo fa, sollecitato dalle cose della vita, mi capitò di scrivere un po’ di righe sul concetto di memoria, che è una cosa diversa dal ricordo. Pensavo e scrivevo che la memoria è l’ordine che diamo alle nostre cose, la gerarchia di valori che ciascuno dà agli eventi, grandi o piccoli che essi siano.  Gli essere umani - almeno quelli che hanno l’abitudine di chiedersi perché calpestano la terra e mangiano cibo e bevono acqua, senza limitarsi a compiere meccanicamente tali azioni – avrebbero il dovere di rifuggire la smemoratezza e di tentare, al contrario, di tessere il filo dei giorni, che altrimenti rimarrebbero atomi dispersi e privi di significato. Questa tessitura, e soltanto essa, permette di sorreggerci quando le prove cui il presente ci sottopone diventano insormontabili. È la memoria che ci può trarre fuori dagli impicci e richiamarci alla vita. Non è il mero ricordo, ma quello che ne resta quando non ci sono più le cose che abbiamo vissuto, una sorte di pozione magica con cui detergerci le labbra quando sono troppo secche. Sul tema la penso un po’ diversamente dal grandissimo Primo Levi de I sommersi e i salvati.

 

È vero, caro Michele, che un po’ per volta sparisce la comunità. Calpestare la memoria significa compromettere il futuro. Rimane un Eterno Presente (si, con le maiuscole), la dimensione della piattezza, la cappa totalizzante che tutto ingloba senza premurarsi di dare giustificazioni. Tutti noi siamo immersi nel Presente, ci siamo dentro a tal punto che ci immedesimiamo nella sua legge suprema: il tempo come successione lineare e meccanica, causa e suggello di un’indifferenza che si fa insignificanza.

 

Insomma, dietro qualche vecchia pianta, si affacciano questioni mica da poco. Per questo ho pensato subito alle parole di Erri De Luca, quando, sollecitato dalla telefonata di un’amica, ho visto quella dolorosa mancanza. L’«essenza tenace di resina», che per tanti giorni ha continuato ad infilarsi nella mia auto e nelle mie narici, svilendosi, segnava il trapasso della memoria in mero  ricordo. La memoria, del resto, è sempre un’impresa collettiva, così come «un albero è vivo come un popolo più che come un individuo». Il ricordo, di per sé, è solo il patetico e impolverato archivio della mediocrità. E per la mediocrità è sufficiente il singolo.

 

   Per molti secoli, molti filosofi e la stragrande maggioranza delle persone hanno creduto (e credono ancor oggi) che per conoscere le cose bisogna immedesimarsi in esse, annullare o comunque ridurre la distanza che ce ne separa. Fu Nietzsche a capire che la verità è l’antipode di questa credenza: per conoscere il mondo bisogna violarlo, perché nella conoscenza non c’è niente che assomigli alla felicità o all’amore, c’è anzi lotta, ostilità, raffronto, confluenza e infine compromesso fra istinti. Conoscere vuol dire tormentare, e per conoscersi bisogna tormentarsi e lottare con se stessi. Occorre mettere in discussione, destrutturare, distruggere il proprio Presente, perché eccessive sono le false certezze di cui si compone. Ma di Nietzsche a malapena i più eruditi sanno che è morto pazzo più di un secolo fa. E così l’Eterno Presente non ha ostacoli.

 

Sotto gli aghi dei pini c’erano ben altre questioni. Ma a quanti importa saperlo? Tra un po’ di tempo di quegli alberi rimarrà qualche ricordo, forse una foto, ed infine un orizzonte che ha mutato fisionomia e senso. Nulla più. Come quelle vecchie cartoline in cui vediamo i grandiosi platani disegnare le strade principali della vecchia Telese, e che fanno pensare che anch’essa fu bella per davvero.

 

Il taglio è stato dovuto ad esigenze di sicurezza. Due alberi erano già caduti, per fortuna verso l’interno del parco termale, in occasione di alcune giornate di tormenta. Gli altri erano un reale pericolo. Nella mia vita non ho viaggiato tanto: è uno dei mie crucci. Però mi è capitato di vedere posti in cui gli alberi sono annunciati da pannelli con su scritti nome e storia, e alberi pencolanti tenuti su da tiranti fino a raddrizzarli e a renderli sicuri: autentiche, dolci imbracature d’acciaio. Anche i bambini bisogna cambiarli e imbracarli spesso. Accudirli costa tempo e denaro, ma la spesa è sempre irrisoria se serve a dare gambe al futuro della specie.

 

Finanche manutenere il proprio wc è oneroso. Ma c’è qualcuno che dubita che ne valga la pena?

 

Però non bisogna scoraggiarsi. Perché, caro Michele, quelle piante saranno rimpiazzate. C’è l’impegno della pubblica amministrazione. La stessa che doveva preoccuparsi della manutenzione. Una bella sostituzione di memoria e passa ogni dolore.  E poi sono sicuro che tutti quei quintali di legna da essiccare e ardere siano stati dati in beneficenza, magari a qualche ente o istituto. Ecco, mi piacerebbe sapere che il sacrificio di memoria è perlomeno servito ad un bene comune, collettivo, pubblico nel senso più alto. A chi abbiamo donato un pezzo di comunità? Mica a qualche amico degli amici che il prossimo anno riscalderà il suo bel salone?

 

Oddio: volevo parlare di qualche pianta e ne è uscito un pistolotto sulla memoria… La colpa, però, è anche di Fulvio Del Deo che mi ha mandato bellissime foto di foreste e boschi israeliani. E pure dell’amico Vittorio Pagliarulo e della sua provocazione, alla quale bisogna pur rispondere. È vero che la politica spesso fa schifo ed è respingente, però non tutti sono disposti a farsi schiacciare dall’Eterno Presente, a mortificare la memoria per logiche di piccolo cabotaggio. Si dice che gli elefanti hanno la memoria lunga. Se così fosse, penso che gli elefanti dovrebbero fare politica.

 

 

5 marzo 2008

 

Gianluca Aceto

 

PS: Ringrazio e abbraccio Gennaro Sebastianelli

 

 

 

 

 

     

 Valle Telesina


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