Intervento di Marco Travaglio al Parlamento
Europeo
13
novembre 2007
Beppe Grillo: Adesso cedo la parola al vero
ministro della Giustizia italiano: Marco
Travaglio.
Marco Travaglio:
Così non posso più
parlare di Mastella perché sembra lo faccia pro
domo mea!
In
realtà volevo semplicemente darvi la cronologia
dei fatti che sono accaduti intorno alle
indagini condotte da De Magistris, che oggi non
le conduce più perché gli sono state scippate.
Forse può essere interessante vedere la
scansione temporale di quello che è accaduto per
rendersi conto anche della trasformazione che
sta subendo il rapporto tra la politica, in
particolare il governo, e la magistratura in
seguito a una serie di riforme, di prassi, di
comportamenti, che soltanto qualche anno fa
sarebbero stati totalmente impensabili.
Noi,
fino a qualche anno fa, eravamo famosi in Europa
per avere la magistratura più autonoma e
indipendente – e costituzionalmente parlando è
ancora così – e si è riusciti a manomettere
questa indipendenza e autonomia senza sfiorare
la Costituzione, cambiando semplicemente le
leggi ordinarie e soprattutto le prassi, e
convincendo una parte della magistratura che non
è il caso di mettersi in frizione con il potere
politico con determinati tipi di indagine, come
quelle di cui parlava prima il Dott. De
Magistris.
Come molti di voi sapranno, l’Italia
non ha una grande tradizione di ministri della
Giustizia ma negli ultimi anni esagera, nel
senso che ha avuto due fra i peggiori ministri
della giustizia della sua Storia: l’ingegner
Roberto Castelli, esperto in abbattimento di
rumori autostradali, divenuto ministro nel 2001
e durato ben cinque anni, autore di alcune tra
le leggi più incredibili mai viste – quasi tutte
cassate dalla Corte Costituzionale perché
incostituzionali – o scritte da lui o avallate
dal suo operato; dopo cinque anni di questo
genere è stato sostituito da Clemente Mastella.
A memoria d’uomo non era mai stato visto nulla
di simile: Mastella sta in Parlamento da trentun’anni,
è stato testimone di nozze, nel 2000, del
braccio destro di Bernardo Provenzano, Francesco
Campanella, l’uomo che fornì a Provenzano i
documenti falsi per andare in Francia a operarsi
di prostata. Campanella era il segretario dei
giovani dell’Udeur. All’epoca, l’attuale
ministro della giustizia gli fece da testimone
di nozze insieme all’attuale governatore di
Sicilia Salvatore Cuffaro: il mafioso si sposa e
alla sua destra c’è il futuro ministro della
Giustizia mentre alla sua sinistra il futuro
governatore della Sicilia.
Con questo pedigree è
diventato ministro della giustizia; ha una
famiglia numerosa in parte a carico dei
contribuenti, come ha dimostrato recentemente
l’Espresso in un’inchiesta che non ha avuto
smentite, non ha sortito alcun risultato né in
Parlamento né al governo. Spulciando nei bilanci
del giornale ufficiale del partito del ministro
Mastella, “Il Campanile”, si è scoperto che
questo – finanziato dallo Stato italiano con
circa un milione e trecentomila euro all’anno
vendendo, comprensibilmente, poche centinaia di
copie – si occupa di pagare Mastella nel 2005
con 40.000 euro per compensi giornalistici e di
stornare 14.000 euro per i panettoni e i
torroncini che la famiglia Mastella invia come
regali di Natale a spese degli italiani.
Ci sono
poi 12.000 euro per lo studio legale del figlio
del ministro, 36.000 per le polizze di
assicurazione dello stesso figlio. Potete
controllare, è tutto documentato sull’Espresso
di due settimane fa a firma di un giornalista
molto bravo: Marco Lillo. Viaggi aerei della
famiglia e, dulcis in fundo, 2000 euro al mese
al benzinaio di Ceppaloni, paese della provincia
di Benevento, dove il figlio del ministro fa il
pieno al suo Porsche Cayenne che consuma
parecchio.
A un certo punto i destini del
ministro Mastella e del Dott. De Magistris si
incrociano perché in una delle tre importanti
inchieste che conduce il magistrato – una
riguarda episodi di collusioni e insabbiamenti
della magistratura in Basilicata dal nome “Toghe
Lucane”, un’altra si chiama “Poseidone” e
riguarda il dio dei mari sporchi della Calabria
e dei depuratori inesistenti pagati con denaro
pubblico, la terza è “Why Not” e riguarda questo
intrico di società che coinvolgono i politici e
gli interessi forti tramite loro parenti o
prestanome – in questa terza indagine si
aggirano alcuni personaggi che hanno ottimi
rapporti con gran parte della politica nazionale
italiana, tra i quali anche il ministro
Mastella.
La legge sull’ordinamento giudiziario
approvata lo scorso anno dal Parlamento
italiano, ereditata dal governo Berlusconi,
ministro Castelli, e lasciata pressoché intatta
dal governo Prodi, ministro Mastella, concede al
ministro della Giustizia un potere che prima gli
era negato: quello di chiedere al Consiglio
Superiore della Magistratura il trasferimento
urgente in via cautelare dei magistrati anche a
prescindere dall’accertamento di loro eventuali
responsabilità disciplinari.
La scansione
temporale di questa inchiesta è la seguente: nel
marzo di quest’anno il Procuratore capo di
Catanzaro toglie a De Magistris la prima delle
sue inchieste, “Poseidone” riguardante i
depuratori mai fatti. Ha un discreto conflitto
di interessi su questa decisione perché il
principale indagato dell’inchiesta “Poseidone” è
un deputato di Forza Italia, Giancarlo Pittelli,
socio di studio del figlio della convivente del
Procuratore Lombardi. Questo accade a marzo.
Nel
mese di luglio, nell’altra inchiesta, “Why not”,
viene iscritto nel registro degli indagati il
nome di Romano Prodi a proposito di alcuni
telefonini in uso ad alcuni suoi collaboratori,
in parte indagati: per andare a vedere chi usa
quei telefonini la Procura prende questa
decisione. Prodi si comporta correttamente:
evita di attaccare la magistratura, cosa che in
Italia non accade mai, e dice di essere sereno e
di attendere con tranquillità le decisioni dei
magistrati.
Passa l’estate. Il 21 settembre,
quando ormai tutti sanno che gli investigatori
si stanno occupando attivamente del ruolo avuto
da Mastella e delle sue telefonate intercettate
con due dei principali indagati cioè uno dei
principali capi della Compagnia delle Opere – il
ramo finanziario di Comunione e Liberazione,
organizzazione cattolica molto potente – e un
vecchio arnese della Loggia P2, già condannato
per la maxitangente Enimont Pisignani, il
ministro Mastella chiede al Consiglio Superiore
della Magistratura il trasferimento urgente in
via cautelare di De Magistris. Avendo da un anno
questo potere, su chi decide di sperimentarlo? I
magistrati in Italia sono 9000 e chiede il
trasferimento del Pubblico Ministero che indaga
su di lui e sul Presidente del Consiglio. Uno a
caso su 9000.
Poi, per non aver vigilato e non
avergli tolto prima anche quell’inchiesta,
chiede anche il trasferimento del suo capo,
colpevole di aver sottratto solo l’inchiesta che
riguardava il socio del figlio della sua
convivente. Il CSM non ritiene che ci siano
questi requisiti di urgenza, tant’è che rinvia
la decisione a dicembre. Mastella, sempre più
preoccupato per queste indagini, corrobora la
richiesta di trasferimento con nuove carte
arrivate dagli ispettori del suo ministero che
da tre anni stazionano quasi in permanenza alla
Procura di Catanzaro per occuparsi del Pubblico
Ministero De Magistris.
Arrivano al CSM anche
carte che contestano l’operato di De Magistris
proprio sull’indagine che riguarda Mastella.
Mastella, nel frattempo, è andato in Parlamento
a dire che non ha chiesto il trasferimento di De
Magistris per l’indagine che lo riguarda ma per
un’altra: mente spudoratamente perché quando
arrivano le carte degli ispettori, si capisce
che riguardano anche l’indagine nella quale si
parla di Mastella.
Il 14 ottobre di quest’anno
De Magistris iscrive Mastella nel registro degli
indagati per truffa all’Europa, truffa allo
Stato italiani, finanziamento illecito e abuso.
Due giorni dopo, la notizia che è segretissima
viene pubblicata da un quotidiano italiano il
cui ex vice direttore è molto legato ai servizi
segreti, tant’è che prendeva soldi dal servizio
segreto militare. Sul quotidiano “Libero” c’è
questa fuga di notizie che lo stesso giorno
provoca un effetto devastante: il Procuratore
Generale di Catanzaro, Dott. Dolcino Favi,
decide, avendo saputo che De Magistris ha
iscritto Mastella sul registro degli indagati di
togliergli l’inchiesta con il meccanismo della
avocazione. Il motivo è che visto che Mastella
ha chiesto il trasferimento di De Magistris,
allora questo ce l’ha con Mastella quindi non
può più indagare su di lui.
E’ qualcosa che
riguarda la novella di Fedro “Il lupo e
l’agnello”: il lupo sta sopra, l’agnello sotto e
lupo accusa l’agnello di intorbidargli l’acqua
del ruscello. L’agnello gli dice “ma io sono
sotto, come faccio?” e l’altro gli risponde
“però anni fa mi hai insultato!”. L’agnello
replica: “Ho sei mesi di vita, è impossibile”, e
il lupo: “Allora sarà stato tuo padre” e se lo
mangia.
La stessa argomentazione, al contrario,
viene utilizzata per avocare l’indagine: De
Magistris lavora da mesi su Mastella, Mastella
chiede di trasferirlo quindi gli levano
l’indagine dicendo “Ha chiesto di trasferirti,
quindi ce l’hai con lui!”. Gli portano via il
fascicolo dalla cassaforte mentre è assente,
mandano la posizione stralciata di Mastella al
Tribunale dei Ministri di Roma – è notizia di
oggi che lo stesso Tribunale ha dichiarato di
non essere competente rimandando le carte a
Catanzaro – e a questo punto Mastella dichiara
che De Magistris ha deciso di indagare su di lui
apposta, per farsi togliere l’inchiesta e fare
il martire.
Questo è sempre il ministro della
Giustizia italiano nell’esercizio delle sue
funzioni; sembra incredibile a chi non è
italiano ma noi abbiamo un ministro della
Giustizia così. Nel frattempo, al consulente
tecnico che ha scoperto i rapporti telefonici
tra i vari indagati, compreso Mastella, viene
revocato l’incarico dal Procuratore Generale
Dolcino Favi il quale, in realtà, è
semplicemente un reggente: sta sostituendo un
altro che è andato via in attesa che il
Consiglio Superiore della Magistratura ne nomini
un altro.
Cosa che accade, ma il reggente, che a
questo punto è un autoreggente, continua
imperterrito a prendere decisioni che, forse,
sarebbe meglio lasciare al titolare in arrivo.
Per completare l’opera, l’Arma dei Carabinieri
caccia il Capitano Zaccheo che stava conducendo
una delle indagini più importanti, l’unica
rimasta nelle mani di De Magistris ovvero
l’indagine “Toghe Lucane”.
L’imbarazzo del
governo è enorme, perché cercare di cacciare
l’unico magistrato che indaga sul capo del
governo e sul ministro della Giustizia è una
cosa che anche i più tonti capiscono essere ben
peggio di quello che aveva cercato di fare, non
riuscendoci, il governo Berlusconi. L’ultimo
atto di questa gravissima pantomima è la
decisione della Cassazione sul ricorso
presentato da De Magistris contro l’avocazione
dell’indagine “Why not”: la Cassazione risponde
che non è ammissibile esaminare questo ricorso
perché non lo deve presentare il Pubblico
Ministero che si è visto scippare l’indagine ma
il Procuratore Capo che gli ha sottratto l’altra
e firmato l’avocazione di questa.
Se
avete presente il romanzo di Heller Comma 22,
nel comma 22 si stabilisce che per essere
esonerati dai voli di guerra bisogna essere
matti ma chi chiede l’esonero non può essere
matto perché sono matti quelli che li fanno, i
voli di guerra. Le motivazioni addotte a
giustificazione di tutti i passaggi che vi ho
elencato ricordano molto il paradosso di Joseph
Heller.
Vi
ho detto che il Tribunale dei Ministri ha
riconosciuto che il Procuratore autoreggente
Favi non doveva mandare l’indagine a Roma perché
non se ne fanno nulla. Vi leggo per concludere
quello che scrive un magistrato di Palermo che
fotografa così la situazione dei rapporti tra
giustizia e politica, anno domini 2007 regnante
il centrosinistra:
“Il ministro, utilizzando questo nuovo
potere di chiedere il trasferimento dei
magistrati, ha contribuito a creare quel
processo a tappe di spoliazione delle
inchieste il cui titolare era De
Magistris. Utilizzando il grimaldello
della legge, la questione De Magistris è
diventata una vicenda pilota che mostra
i guasti della riforma Mastella. Anche
il potere di avocazione, che c’è sempre
stato, oggi diventa uno strumento di
normalizzazione della magistratura. Ai
tempi del governo Berlusconi,
dell’attacco all’autonomia e
all’indipendenza della magistratura,
nessuno si era azzardato ad usare lo
strumento dell’avocazione di determinate
inchieste. Oggi si sta creando nella
magistratura un processo progressivo di
omologazione, uno degli obiettivi si
quali ha puntato la politica. C’è una
trasversale insofferenza nei confronti
dell’azione di controllo di legalità
svolta dai magistrati che rispettano la
Costituzione e applicano la legge uguale
per tutti”.
Antonio Ingroia, Procuratore
Antimafia a Palermo. |

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