intervento riferito a: Flaviano Di Santo scrive ad Aceto

 

 

24 ottobre 2009
Aceto risponde a Flaviano Di Santo
Gianluca Aceto

 

 

Telese Terme, 23 ottobre 2009

Egregio signor Di Santo,

pur ringraziandola delle argomentate sollecitazioni, le confesso che è con discreta fatica che potrei riuscire a rispondere a tutte. Forse, essendo io un politico di professione – secondo il Suo narrare – non riesco ad afferrare e interpretare le profondità del suo discorso. Questione di limiti.

Del resto, la separazione tra sapere e potere, tra conoscenza e politica, non è una colpa ascrivibile al sottoscritto ma  – la imploro di credermi! – risale almeno ai tempi di Edipo e alla scomparsa della figura del re assiro. Insomma, sono solo un figlio (l’ultimo dei figli) del peccato originale posto alla scaturigine del cosiddetto mondo occidentale.

Ho difficoltà, ad esempio, se penso alla confusione che nasce quando si mettono sullo stesso piano strutture di utilità pubblica (ospedali, scuole, impianti sportivi, aree attrezzate) e strutture destinate al (per quanto legittimo) profitto (bar, alberghi, discoteche). Molto originale è poi il carattere pesantemente invasivo attribuito al polo scolastico. Senza nulla aggiungere  riguardo al gentile monito, da Lei rivoltomi, a badare agli standard di qualità urbanistica. Non so se Lei sia urbanista o amministratore, ma sicuramente non è al corrente di cosa stiamo parlando a proposito del nuovo polo scolastico. Ma che le hanno detto del vincolo idrogeologico? E chi le ha detto che gli amministratori vorrebbero allargare l’area pedonale nella zona del vecchio campo sportivo? Cerchi di verificare le fonti, signor Di Santo: con un piccolo sforzo potrebbe scoprire quali sono i veri programmi in testa ad amministratori e a qualche famoso imprenditore.  

È del tutto evidente, ancora, che ha seguito da lontano anche la storia dell’ex molino Capasso & Romano. Verde pubblico? Riqualificazione territoriale? Un progetto realizzabile a breve contro un nuovo plesso disponibile per Sua nipote? Ma li conosce i progetti che sono ancora agli atti del Comune? Si documenti e poi ne riparliamo. Vivitelese ha una bella sezione dedicata alla lunga e complessa vicenda: la utilizzi.

Si giunge così al paradosso per il quale il sottoscritto è tacciato di assecondare la cementificazione selvaggia. Le vie della logica sono forse (in)finite? Ah, quanto mi manca Kurt Gödel…

Né mi posso affannare nel convincerLa, signor Di Santo, che fare di tutta l’erba un fascio non è di solito un buon esercizio critico, se per “critica” s’intende, etimologicamente parlando, la capacità di distinguere, valutare, scegliere, la capacità dello sguardo che da una parzialità coglie la totalità. Chi si sognerebbe di dire che tutti i dipendenti pubblici sono dei fannulloni? Beh, in Italia abbiamo sentito anche questo, di recente, per cui mi tocca cambiare paragone. Mettiamola così: se dicessi che tutti gli imprenditori sono degli sfruttatori/evasori probabilmente mi prenderei i giusti strali della categoria. Certo, non pretendo che Lei avverta la stessa sensibilità intellettuale quando parla dei politici, ma non mi dica che la classe imprenditoriale italiana è migliore di quella politica.

Io sono un vecchio marxiano: in generale, per me i rappresentanti esprimono bene il corpo sociale, senza che questo significhi parlare di «teste di legno». Tale espressione, sia detto con rispetto, è tutta Sua: della Sua testa (scusi il gioco di parole) e della Sua tastiera. Mi usi la cortesia di non attribuirmi concetti che sono di Sua elaborazione: «non sarebbe corretto».

Ma il brivido più intenso viene nel leggere quella Sua identificazione tra politica e mercato, tra il contribuente e il soggetto di diritti politici (il cittadino, insomma). Un esempio di dove conduca                      – logicamente parlando – questa impostazione? Il cittadino privo di reddito tassabile, per la via da Lei tracciata, non sarebbe più cittadino, cioè soggetto titolare di diritti. Con la scioltezza disarmante di chi si avvia lungo un percorso apparentemente sicuro, Lei fa strame dello stato moderno e teorizza il ritorno al diritto di censo. Naturalmente la mia iperbole, in quanto estremizzazione concettuale, mira a dimostrare che l’apoditticità delle Sue affermazioni, alla luce della verifica logica, si spappola in forma di paralogismi (che, certo, sono sempre meglio dei sofismi).

Scorgo un malcelato disprezzo nelle Sue parole, quando sottolinea che lei vive del Suo lavoro e io della politica. È del tutto evidente che Le hanno riferito molto male la biografia del sottoscritto, e comunque in maniera assolutamente parziale e incompleta. Per un attimo sono stato tentato di allegare alla presente il mio curriculum vitae et studiorum, ma se è curioso di sapere cosa abbia fatto il sottoscritto forse è meglio parlarne davanti a un caffè, che potremmo consumare in un bar della nostra cittadina. Le garantisco la libertà di scegliere se la miscela dovrà essere «dop» o «doc». Naturalmente offro io, e non transigo: appartengo a quella schiatta che non si è mai fatta pagare nulla da nessuno.

Magari potremmo parlare del dilemma – sempre attuale - di weberiana memoria, in cui anche un piccolo come me è potuto incappare. Sempre che Le interessi, ovviamente, e che ciò non Le tolga troppo del Suo prezioso tempo, dedito alla famiglia, al lavoro e alla produzione di ricchezza sociale, bel al di là del parassatismo che Lei mi attribuisce. Scusi, ma mi ha seguito qualche volta, la mattina, per sapere quello che faccio o non faccio nella mia vita quotidiana? Sempre che Le interessi, potrei darLe qualche lezione di politiche sociali o politiche del lavoro, e se non ha tempo di venire all’università passo io a casa Sua.

Non ho la pretesa di dirLe nulla su ambiente, edilizia, urbanistica: materie su cui Lei mi invita a farmi da parte. E del resto non me ne sono mai occupato, manco di striscio…

Come ebbi a scrivere qualche mese addietro, io sono ben felice di sapere che tante persone hanno scelto di vivere nella mia cittadina. Credo infatti che le differenze allarghino le menti. Allo stesso modo, tuttavia, ritengo che chi vuole esprimere giudizi sulle persone che da sempre abitano Telese, anzi, sulla vita di queste persone, debba usare la grazia di documentarsi bene ed evitare di sparare sentenze che suonano come insulti. Sia detto senza infingimenti: non ho dovuto certo  aspettare Lei per fare le mie scelte (e pagarne le conseguenze). 

Non mi sottraggo, del resto, al giudizio pubblico, essendo uno che fa politica. Ai cittadini la valutazione sulle capacità amministrative del sottoscritto. Io ci posso mettere solo la buona volontà e la fatica.

Sì, la fatica: non l’avrebbe mai detto, eh? Che eretica bestemmia, questo termine accostato a “politica”…

Con altrettanta stima,

Gianluca Aceto

(Capobranco dalle nobili ragioni?)

 

PS

Io vendo frigoriferi agli esquimesi, e l’abbiamo assodato. Ma Lei che vende?

 

 

     

 Valle Telesina


Per intervenire: invia@vivitelese.it