Telese Terme, 23 ottobre 2009
Egregio signor Di Santo,
pur ringraziandola delle argomentate
sollecitazioni, le confesso che è con discreta
fatica che potrei riuscire a rispondere a tutte.
Forse, essendo io un politico di professione –
secondo il Suo narrare – non riesco ad afferrare
e interpretare le profondità del suo discorso.
Questione di limiti.
Del resto, la separazione tra sapere e potere,
tra conoscenza e politica, non è una colpa
ascrivibile al sottoscritto ma – la imploro di
credermi! – risale almeno ai tempi di Edipo e
alla scomparsa della figura del re assiro.
Insomma, sono solo un figlio (l’ultimo dei
figli) del peccato originale posto alla
scaturigine del cosiddetto mondo occidentale.
Ho
difficoltà, ad esempio, se penso alla confusione
che nasce quando si mettono sullo stesso piano
strutture di utilità pubblica (ospedali, scuole,
impianti sportivi, aree attrezzate) e strutture
destinate al (per quanto legittimo) profitto
(bar, alberghi, discoteche). Molto originale è
poi il carattere pesantemente invasivo
attribuito al polo scolastico. Senza nulla
aggiungere riguardo al gentile monito, da Lei
rivoltomi, a badare agli standard di qualità
urbanistica. Non so se Lei sia urbanista o
amministratore, ma sicuramente non è al corrente
di cosa stiamo parlando a proposito del nuovo
polo scolastico. Ma che le hanno detto del
vincolo idrogeologico? E chi le ha detto che gli
amministratori vorrebbero allargare l’area
pedonale nella zona del vecchio campo sportivo?
Cerchi di verificare le fonti, signor Di Santo:
con un piccolo sforzo potrebbe scoprire quali
sono i veri programmi in testa ad amministratori
e a qualche famoso imprenditore.
È
del tutto evidente, ancora, che ha seguito da
lontano anche la storia dell’ex molino Capasso &
Romano. Verde pubblico? Riqualificazione
territoriale? Un progetto realizzabile a breve
contro un nuovo plesso disponibile per Sua
nipote? Ma li conosce i progetti che sono ancora
agli atti del Comune? Si documenti e poi ne
riparliamo. Vivitelese ha una bella sezione
dedicata alla lunga e complessa vicenda: la
utilizzi.
Si
giunge così al paradosso per il quale il
sottoscritto è tacciato di assecondare la
cementificazione selvaggia. Le vie della logica
sono forse (in)finite? Ah, quanto mi manca Kurt
Gödel…
Né
mi posso affannare nel convincerLa, signor Di
Santo, che fare di tutta l’erba un fascio non è
di solito un buon esercizio critico, se per
“critica” s’intende, etimologicamente parlando,
la capacità di distinguere, valutare, scegliere,
la capacità dello sguardo che da una parzialità
coglie la totalità. Chi si sognerebbe di dire
che tutti i dipendenti pubblici sono dei
fannulloni? Beh, in Italia abbiamo sentito anche
questo, di recente, per cui mi tocca cambiare
paragone. Mettiamola così: se dicessi che tutti
gli imprenditori sono degli sfruttatori/evasori
probabilmente mi prenderei i giusti strali della
categoria. Certo, non pretendo che Lei avverta
la stessa sensibilità intellettuale quando parla
dei politici, ma non mi dica che la classe
imprenditoriale italiana è migliore di quella
politica.
Io
sono un vecchio marxiano: in generale, per me i
rappresentanti esprimono bene il corpo sociale,
senza che questo significhi parlare di «teste di
legno». Tale espressione, sia detto con
rispetto, è tutta Sua: della Sua testa (scusi il
gioco di parole) e della Sua tastiera. Mi usi la
cortesia di non attribuirmi concetti che sono di
Sua elaborazione: «non sarebbe corretto».
Ma
il brivido più intenso viene nel leggere quella
Sua identificazione tra politica e mercato, tra
il contribuente e il soggetto di diritti
politici (il cittadino, insomma). Un esempio di
dove conduca – logicamente
parlando – questa impostazione? Il cittadino
privo di reddito tassabile, per la via da Lei
tracciata, non sarebbe più cittadino, cioè
soggetto titolare di diritti. Con la scioltezza
disarmante di chi si avvia lungo un percorso
apparentemente sicuro, Lei fa strame dello stato
moderno e teorizza il ritorno al diritto di
censo. Naturalmente la mia iperbole, in quanto
estremizzazione concettuale, mira a dimostrare
che l’apoditticità delle Sue affermazioni, alla
luce della verifica logica, si spappola in forma
di paralogismi (che, certo, sono sempre meglio
dei sofismi).
Scorgo un malcelato disprezzo nelle Sue parole,
quando sottolinea che lei vive del Suo lavoro e
io della politica. È del tutto evidente che Le
hanno riferito molto male la biografia del
sottoscritto, e comunque in maniera
assolutamente parziale e incompleta. Per un
attimo sono stato tentato di allegare alla
presente il mio curriculum vitae et studiorum,
ma se è curioso di sapere cosa abbia fatto il
sottoscritto forse è meglio parlarne davanti a
un caffè, che potremmo consumare in un bar della
nostra cittadina. Le garantisco la libertà di
scegliere se la miscela dovrà essere «dop» o
«doc». Naturalmente offro io, e non transigo:
appartengo a quella schiatta che non si è mai
fatta pagare nulla da nessuno.
Magari potremmo parlare del dilemma – sempre
attuale - di weberiana memoria, in cui anche un
piccolo come me è potuto incappare. Sempre che
Le interessi, ovviamente, e che ciò non Le tolga
troppo del Suo prezioso tempo, dedito alla
famiglia, al lavoro e alla produzione di
ricchezza sociale, bel al di là del parassatismo
che Lei mi attribuisce. Scusi, ma mi ha seguito
qualche volta, la mattina, per sapere quello che
faccio o non faccio nella mia vita quotidiana?
Sempre che Le interessi, potrei darLe qualche
lezione di politiche sociali o politiche del
lavoro, e se non ha tempo di venire
all’università passo io a casa Sua.
Non ho la pretesa di dirLe nulla su ambiente,
edilizia, urbanistica: materie su cui Lei mi
invita a farmi da parte. E del resto non me ne
sono mai occupato, manco di striscio…
Come ebbi a scrivere qualche mese addietro, io
sono ben felice di sapere che tante persone
hanno scelto di vivere nella mia cittadina.
Credo infatti che le differenze allarghino le
menti. Allo stesso modo, tuttavia, ritengo che
chi vuole esprimere giudizi sulle persone che da
sempre abitano Telese, anzi, sulla vita di
queste persone, debba usare la grazia di
documentarsi bene ed evitare di sparare sentenze
che suonano come insulti. Sia detto senza
infingimenti: non ho dovuto certo aspettare Lei
per fare le mie scelte (e pagarne le
conseguenze).
Non mi sottraggo, del resto, al giudizio
pubblico, essendo uno che fa politica. Ai
cittadini la valutazione sulle capacità
amministrative del sottoscritto. Io ci posso
mettere solo la buona volontà e la fatica.
Sì, la fatica: non l’avrebbe mai detto, eh? Che
eretica bestemmia, questo termine accostato a
“politica”…
Con altrettanta stima,
Gianluca Aceto
(Capobranco
dalle nobili ragioni?)
PS
Io
vendo frigoriferi agli esquimesi, e l’abbiamo
assodato. Ma Lei che vende?
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