Intervento riferito a: Biomasse, il cittadino Frittelli chiede chiarezza

 

 

7 settembre 2007
Biomasse, risposte al cittadino Frittelli
Gianluca Aceto

 

 

Una cosa buona, da questa storia giocata tra inceneritori e biomasse, forse ne può venir fuori: finalmente anche dalle nostre parti si può parlare del ciclo dei rifiuti. È questo il senso dell’intervento di Luciano Frittelli, che pone argomenti e domande giuste, a cui è il caso di prestare la dovuta attenzione.

 

   C’è differenza tra una centrale a biomasse e un inceneritore? Si, ed è una bella differenza. In realtà anche le biomasse sono molto variegate: una cosa sono quelle cosiddette vergini (ad esempio la paglia e legname non lavorato), una cosa gli scarti della lavorazione agricola (vinaccia, pomodori, ecc.), altra ancora gli scarti delle lavorazioni industriali (ad esempio il legno, in cui possono esserci anche colle e vernici).

 

   Credo sia poi necessaria un’operazione di igiene semantica: aboliamo il termine “termovalorizzatore”, che sa tanto di pubblicità ingannevole, ed utilizziamo quello più adatto, che per l’appunto è “inceneritore”.

 

   Un piccolo esempio, direttamente dal progetto di San Salvatore. La ditta proponente elenca gli effetti negativi della centrale: la combustione di 365 tonnellate giornaliere di rifiuti produrrebbe 45 tonnellate di scorie, da stoccare in discarica, e 6 tonnellate di polveri, che in parte si propagano nell'aria e in parte vanno anch’esse stoccate; l'abbassamento della falda acquifera di circa 10-12 metri (l'acqua è necessaria per raffreddare l'impianto); l'accumulo di sostanze tossiche al suolo; l'emissione di calore in atmosfera. È lecito pensare che, trattandosi di dichiarazioni della ditta che propone l’impianto (la Vocem), questi dati siano edulcorati e minimizzati. Così come occorre precisare che nella sua programmazione la Provincia di Benevento prevede la combustione non di 365 ma solo di 75 tonnellate al giorno di residuo non recuperabile dei rifiuti prodotti nel Sannio. La differenza è facile da calcolare: 290 tonnellate al giorno, da moltiplicare per 330 giorni di attività all’anno. È così peregrino concluderne che la cospicua differenza arriverà da fuori provincia? In questo modo sarebbe vanificato lo stesso principio di provincializzazione del ciclo dei rifiuti giustamente perorato dal Presidente Nardone.

 

   A questo punto mi si potrebbe obiettare: ma chi lo dice che verrebbero bruciati i rifiuti, e segnatamente il CDR (le balle, tanto per intenderci)? Lo dice la stessa Vocem. Nella lettera indirizzata a Nardone e datata 16/05/2005 (prot. N. 1765/05), la dottoressa Bruna Valli scrive testualmente:

«1. L’impianto Vocem, come attualmente dimensionato e progettato, potrebbe essere alimentato integrando il materiale organico a matrice vegetale con il quantitativo di CDR prodotto in provincia di Benevento; 2. in alternativa, l’impianto Vocem, come attualmente dimensionato e progettato, potrebbe essere integrato con una linea dedicata alla termovalorizzazione del CDR, aumentando così la produzione di energia elettrica e termica di circa il 50%». Nero su bianco.

 

   Sono confortato in questa analisi dagli esiti dell’audizione alla regione Campania dello scorso 5 settembre e dalle parole scambiate a latere con i funzionari regionali, che hanno confermato che per l’impianto Vocem le autorizzazioni fanno inequivocabilmente riferimento allo smaltimento dei rifiuti.

 

   E allora parliamo di rifiuti, più che di biomasse, su cui non sono pregiudizialmente contrario.    Dietro le ambiguità terminologiche ci sono, in regione Campania, quasi quattordici anni di malaffare e cattiva gestione del territorio e delle istituzioni. Come è potuto accadere il disastro rifiuti in Campania? È successo che la logica del profitto ha travolto la politica e le istituzioni, capovolgendo l’ordine delle cose. Lo scopo della programmazione è diventato il business, a cui piegare il bene comune e il futuro stesso. La partita della munnezza, in Campania, avrebbe dovuto fruttare all’Impregilo (con le due controllate FIBE e FISIA) qualcosa come 10 mila miliardi delle vecchie lire. La cifra è astronomica, molto superiore addirittura a quella necessaria per il famigerato ponte sullo stretto di Messina. Ed era destinata a lievitare, come è sempre accaduto in Italia per gli investimenti pubblici.

 

   Lo scopo non era quello di risolvere il problema dei rifiuti, ma di fare soldi, e poco importava se poi una buona parte del bottino andava direttamente nelle mani della camorra: forse era considerata una partner necessaria del sistema… Come si concretizzava questo nefando disegno? Partendo dalla costruzione degli inceneritori e dal mantenimento di un permanente stato di emergenza, grazie all’opera della criminalità organizzata e di funzionari pubblici corrotti fino alle ossa e recentemente finiti in galera. Altro che raccolta differenziata, altro che riciclaggio dei rifiuti, altro che riduzione degli imballaggi: dovevano invece essere costruiti megaimpianti di incenerimento (Acerra ha una capacità di 750.000 tonnellate all’anno), indipendentemente dall’utilità degli stessi e dalla loro sicurezza.

 

   Si giunge così ad un altro paradosso: stiamo costruendo impianti che non serviranno né a risolvere l’emergenza (le balle che giacciono in Campania non sono bruciabili) né a garantire una tecnologia sicura ed innovativa, tale da farci guardare serenamente al futuro. Anzi, gli inceneritori rischiano di rappresentare il cane che si morde la coda: per giustificare gli “investimenti” essi dovranno funzionare a pieno regime, e quindi dovranno bruciare tutto il bruciabile. Pensiamo alla carta e al cartone puliti: invece di essere avviati al riciclaggio dovranno essere inceneriti. Sennò a che servirebbero gli inceneritori? Appunto: non servono a un fico secco. O perlomeno, dovrebbero servire ad una quota davvero residuale dei rifiuti (dal 10 al 20% massimo), poiché tutto il resto dovrebbe essere recuperato, come succede nei paesi civili.

 

   Lo dico ancora più chiaramente: il sistema basato sull’incenerimento è inconciliabile con quello basato su riduzione degli imballaggi, recupero, riuso e riciclaggio dei materiali. Il secondo sistema è preferibile, di gran lunga, al primo, poiché guarda alla sostenibilità delle risorse ambientali ed energetiche. Il primo è figlio della subcultura dell’usa e getta, è antieconomico e distruttivo, e si tiene in piedi solo grazie alle truffe legislative che finora gli hanno consentito di prendere fior fiori di finanziamenti pubblici. L’incenerimento è un processo semplicemente folle: costa più di quello che rende. Con buona pace di Rutelli, inoltre, l’incenerimento dei rifiuti produce sostanze pericolosissime come diossine e furani, oltre che residui di metalli pesanti che non possono essere distrutti. Quanto più è efficace un inceneritore, tanto più piccoli sono le particelle volatili prodotte. Ormai abbiamo familiarità con i pm 10, le sostanze che provocano il blocco della circolazione stradale nei centri urbani. Ma ci sono particelle ancora più piccole, i pm 2,5 o addirittura 0,1, che PER LEGGE NON SONO SOTTOPOSTE A MISURAZIONE.

 

   Schematizzando:

  1. un inceneritore efficace produce molte nanoparticelle, che i filtri non sono in grado di trattenere;

  2. tali particelle sono di difficile rilevazione;

  3. a scanso di equivoci, la legge non ne prevede la misurazione;

  4. più piccole sono, tanto più le nanoparticelle risultano pericolose e invasive.

 

   Lo dico ancora una volta, a chiare lettere: l’incenerimento è quanto di più idiota possa esistere nel ciclo dei rifiuti. Mi spiace per l’on. Rutelli, che afferma che l’inceneritore se lo metterebbe anche sotto la finestra di casa: sta prendendo un granchio, è rimasto lui indietro coi tempi. Del resto, se mi è permessa una battuta polemica, il grado di consapevolezza del vicepresidente del Consiglio è proprio nel termine di paragone da lui tirato dentro: quando afferma che noi siamo rimasti al Medioevo dimostra di non sospettare nemmeno che la più accorta storiografia del Novecento ha corretto l’indirizzo precedente, dimostrando che quel periodo “buio” della storia poi così buio non lo è stato. Rutelli, insomma, parla per luoghi comuni. Non è una gran novità…

 

   Esistono alternative? Certo che esistono, anzi in alcuni paesi sono già praticate da tempo con ottimi risultati. Mi riferisco alla strategia “rifiuti zero”. Alcune metropoli (si pensi a San Francisco, USA) hanno avviato un sistema di trattamento dei rifiuti che nel 2020 dovrebbe portarli a raggiungere questo ambizioso obiettivo. La “filosofia” dell’opzione rifiuti zero è molto semplice:

  1. riduzione drastica degli imballaggi, che spesso sono assolutamente inutili, e dei materiali usa e getta;

  2. riuso, riutilizzo e riciclaggio dei materiali;

  3. sistema di raccolta porta a porta, fondato sulla separazione tra secco, umido e residui non riutilizzabili. Il secco è destinato al riciclaggio e al riutilizzo, l’umido al compost o all’inertizzazione (per poi divenire riempitivo di cave e sedi stradali), la parte residuale (un’inezia, sia dal punto di vista volumetrico che quantitativo) allo smaltimento in discarica.

   Non si tratta di una fantasticheria, ma di una realtà già presente. Anche in questo caso alcune linee di azione possono aiutare:

    • bandire le buste di plastica per la spesa e utilizzare sacchi in tela;

    • vendere l’acqua in bottiglie di plastica pesante, da riutilizzare almeno 25-30 volte, e poi da restituire con il meccanismo obbligatorio del vuoto a rendere. Quelle bottiglie vanno poi riciclate;

    • vietare tutti gli imballaggi inutili, che servono solo per la pubblicità.

 

   Si tratta di semplice buon senso, che tuttavia si scontra con fortissime resistenze non solo da parte dei cittadini, abituati all’usa e getta, ma anche delle imprese. Ma mentre i cittadini possono essere aiutati con mirate campagne di sensibilizzazione e coinvolgimento, che li rendano attori di un cambiamento concreto e radicale, le imprese probabilmente continueranno a remare contro, se non si mette mano ad un rovesciamento delle priorità. E qui torno all’esempio semplice semplice delle bottiglie di plastica: i supermercati dovrebbero essere obbligati a raccoglierle presso i propri punti vendita, evitando tante noie ai clienti. In Norvegia, ad esempio, fanno così.

 

   Un’ultima notizia. Il combinato disposto della Finanziaria 2007 e dell’ultimo decreto legge sull’emergenza rifiuti in Campania prevede il commissariamento ad acta per i comuni che non raggiungono i previsti livelli di differenziata. È una buona cosa, che sperabilmente può imprimere la tanto attesa svolta. Se le cose andranno bene, se cioè diminuiranno i rifiuti prodotti, ben presto potremo non avere bisogno degli inceneritori. Né nei nostri meravigliosi orti e giardini, né negli orti e giardini della già martoriata Acerra. Quel mostro contro cui alcuni di noi si sono battuti sarà l’ennesimo, ciclopico monumento allo spreco e alla follia.

 

31 agosto 2007

 

Gianluca Aceto

 

 

 

 

 

     

 Valle Telesina


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